di Francesca Romana Grasso – Edufrog
Questo intervento è stato originariamente pubblicato qui. Lo riproponiamo con il consenso dell’autrice.
Dobbiamo “alzare l’asticella” è un’espressione che inizio a sentire da più parti, per fortuna!
L’asticella della dieta culturale di bambini e bambine, di ragazze e ragazzi.
Da più parti si sente l’esigenza di presentare ai più giovani lettori anche una letteratura che non teme la complessità, la densità di contenuti, l’eleganza della forma, dato che è nella formulazione delle domande che i racconti sollecitano, che i giovani lettori com-prendono la complessità del mondo, possono indagarla, ipotizzare scenari, trovare l’impulso per andare a significare atti e ricerche.
Per questo motivo in molti avvertiamo l’esigenza di porre un freno alla devastante e costante semplificazione di contenuti, linguaggio, stile. Contenuto e contenitore, storie e oggetto-libro, stanno esprimendo in molti, troppi casi, la banalizzazione e la massificazione che caratterizzano quest’ultimo ventennio -dove le logiche di mercato regolamentano anche quali libri progettare a tavolino, per “vendere” tralasciando una riflessione su cosa “offrire” .
Non credo sia una richiesta esageratamente ambiziosa voler salvaguardare il passato remoto e i congiuntivi nella lingua scritta e parlata, formale e informale, ad uso lavorativo e di diletto. Eppure è cosa nota che molti editor chiedono espressamente agli scrittori di farne a meno, di ricorrere a un vocabolario relativamente semplice.
A cosa serve semplificare?
A far leggere di più?
A far ascoltare con più facilità?
E dove ci condurrà tutta questa semplificazione condita di immagini stucchevoli e piene di stereotipi?
Questo andazzo produrrà cervelli obesi e pigri, sostiene Roberto Innocenti, ovvero menti alimentate da merendine culturali.
Recentemente le più seguite riviste italiane di settore hanno invitato a riflettere sull’attuale panorama editoriale, su ciò che viene offerto ai più giovani lettori, a quei lettori che ancora stanno maturando i propri apparati critici, i propri appetiti culturali, quelli che stanno imparando “dove” si consumare\produce\scambia “cultura”, che stanno costruendosi una propria personale visione di cosa sia “cultura”.
Ricordo come l’anno passato Beatrice Masini, alla Fiera di Bologna invitò esplicitamente ad alzare l’asticella; pochi giorni fa ho letto l’invito lanciato da ALIR (Associazione Librerie Indipendenti) agli editori affinché osino di più, scritto anche sulla scia delle dichiarazioni rilasciate a Liber (n. 105) da importanti nomi dell’editoria italiana nell’ambito dell’inchiesta “Il segreto del libro vincente” (pp. 36-39) sui criteri che guidano le scelte di catalogo (hanno risposto alle domande: Beatrice Fini, Giunti; Orietta Fatucci, EL, Einaudi Ragazzi, Emme; Mariagrazia Mazzitelli, Salani; Daniela Gamba, Feltrinelli; Luca Belloni, Il Castello group; Cristina Annoni, Rizzoli).
Interessantissimo il numero 37 di Hamelin TROPPE STORIE in cui l’Associazione si interroga sulla qualità della produzione letteraria per giovani, anche in relazione al concetto di narrazione e ai dettami del marketing. E anche Giordana Piccinini e Nicola Galli Laforest (Associazione Hamelin) hanno esordito a suon di
ALZIAMO L’ASTICELLA nell’introdurre il corso “Ti Faccio il Filo” organizzato da Franco Fornaroli, bravissimo bibliotecario di Melegnano (MI), in tema di letteratura per adolescenti .
La rivista Andersen, dedica l’intero numero speciale (320) all’educazione alla lettura, aprendo con una riflessione di Gianna Vitali che richiama al senso e al significato delle parole e invitando a chiedersi: perché si parla di promozione della lettura e non di educazione alla lettura? Domanda interessante, per niente retorica che merita di essere attraversata.
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