di Irene Sandei – I. C. Langhirano – Scuola secondaria di 1° grado “E. Fermi” (Parma)

A partire da ottobre 2018 fino a gennaio 2019, aspettavamo il venerdì per sederci in terra in cerchio sui nostri cuscini a leggere/ascoltare la storia di Viki. Abbiamo viaggiato con lui dall’Albania, attraverso l’Adriatico, da Bari a Milano; abbiamo viaggiato nel tempo, nello spazio e dentro di noi, per far luce sui pregiudizi che si annidano in tutti e lasciare spazio alla libertà di pensare e di sentire.

Il progetto ci ha tenuto compagnia con una cadenza settimanale. L’attività principale è stata quella della lettura a voce alta, praticata seduti per terra in cerchio, modificando il setting d’aula, del libro di Fabrizio Gatti Viki che voleva andare a scuola (Rizzoli, 2013). Legata a questa, si sono svolti lavori di gruppo sui vari tipi di stereotipi (genere, etnia, religione..), esercizi di scrittura (prendere appunti, descrizioni coi cinque sensi, riassunti, temi), di disegno (ritratto immaginario di Viki con tecnica libera), ricerche sugli articoli 3 e 34 della Costituzione e riflessione-confronto sui temi della migrazione, dei diritti, degli stereotipi che ci condizionano. Lo scopo è stato quello di liberarcene per pensare in modo libero alla storia di Viki e al presente, riflettendo sui valori fondanti della nostra società e su che tipo di cittadinanza vogliamo praticare.

Il progetto si è incrociato con il progetto sul bullismo e il cyberbullismo e con la “normale” attività didattica. Lo sviluppo finale è stato un tema in cui tutte le suggestioni si sono mescolate.

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Alcuni temi a conclusione del progetto

Traccia n.1: “Fai la relazione del progetto L come LIBRI, L come LIBERTÀ, raccontando nel dettaglio le attività svolte. Spiega gli aspetti che ti sono piaciuti di più e cos’hai imparato.”

Maria Adele Ablondi – 1^C

Io e i miei compagni, con la prof. di italiano, abbiamo fatto il progetto L come LIBRI, L come LIBERTÀ leggendo il testo “Viki che voleva andare a scuola”. La prof. ha scelto questo libro perché è pieno di insegnamenti e ci ha fatto riflettere molto. È la storia di un bambino albanese che viene in Italia assieme alla sorella Brunilda e alla mamma Mara per raggiungere il papà Zef, il quale da tempo lavorava come muratore. Dopo un difficile viaggio in mare in cui rischiano di morire, vivono in una baracca alla periferia di Milano, ma Viki è contento perché riesce ad andare a scuola.    

Il progetto consisteva nel sedersi per terra tutti insieme ad ascoltarla leggere prendendo appunti. Oltre ad aver fatto di volta in volta il riassunto, abbiamo svolto anche delle attività molto interessanti; quella che mi è piaciuta di più è stata quella sui pregiudizi. La prof. ci ha diviso in gruppi e ha consegnato ad ognuno un pezzo di carta, sul quale c’era scritto un luogo comune da smentire e a noi è capitato: “Gli immigrati sono tutti ladri e delinquenti”. Così l’abbiamo smentito dicendo che non tutti lo sono e che lo potrebbe essere benissimo un italiano, anzi alcuni immigrati lavorano e cercano di integrarsi nella società, anche se a volte noi non glielo permettiamo. In seguito li abbiamo classificati in pregiudizi relativi a etnia, genere e religione. 

Oltre a ciò, abbiamo anche svolto altre attività altrettanto belle, come cercare sulla Costituzione gli articoli 3 e 34. 

L’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Si dice anche che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e del Paese in cui abita, cioè l’Italia, nel caso di Viki. Lui, però, non è stato aiutato dalla polizia o dal Comune.

L’articolo 34 invece stabilisce: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio che devono essere attribuite per concorso”. Viki ha avuto l’opportunità di andare a scuola, come viene indicato nella Costituzione. 

L’ultima attività, che reputo più difficile, è stata quella di riassumere la storia di Viki e di realizzare un ritratto di come ce lo immaginiamo. 

Questo libro è stato molto appassionante e pieno di significati molto profondi, come quello di non arrendersi mai, di voler imparare (come ha fatto Viki con la lingua italiana), di non giudicare e che tutto è possibile.    

Traccia n.2: “Inventa una fiaba moderna con un eroe o un’eroina con caratteristiche simili a Viki. Delinea l’ambientazione, l’antagonista, l’aiutante, le prove da superare, prima di giungere al lieto fine, in cui trionfano il rispetto delle differenze e dei diritti umani.”

Jonathan Appiah – 1^A

Un bambino che non voleva andare a scuola

C’era una volta un bambino che non voleva andare a scuola, ma i suoi genitori volevano iscriverlo. La scuola si chiamava “Enrico Fermi”, lui non aveva intenzione di andarci e così decise di non parlare più con loro. Quando fu il momento, però, dovette cedere.  

L’edificio era bello, c’erano tanti bambini, lui era in prima media e si presentò in classe così: “Mi chiamo Dick, vengo dal Ghana, ho 11 anni e li compio il 18 maggio”. 

In poco tempo si era fatto molti amici, tranne uno che era sempre da solo, non aveva da mangiare, dicevano tutti che era il bambino sfortunato della classe e così Dicki andò da lui, gli chiese come si chiamasse, lui gli rispose che si chiamava Ivan. Dicki gli domandò se poteva sedersi con lui o se preferisse stare da solo. “Ma perché dicono che sono il bambino sfortunato?” gli chiese Ivan e aggiunse: “Non ci fare caso, non ascoltarli perché stanno facendo gli spiritosi, vogliono far credere di essere dei ‘fighi’ ”. Dicki era bravo in matematica, arte, musica, educazione fisica. Dicki e Ivan andavano a casa insieme, facevano i compiti insieme e così diventarono i migliori della classe, ma arrivarono dei bulli grossi e forti.    

I bulli picchiavano sempre i bambini di prima, Dicki e Ivan però dissero: “Hei, bulli, perché ve la prendete sempre con noi? Perché non picchiate quelli della vostra stessa età? Siete cattivi, non avete sentimenti, non avete un cuore, avete solo un cuore oscuro; adesso andatevene o volete che andiamo a dirlo al preside?”. Quelli risposero: “No, no, ce ne andiamo. Ragazzi, non pensiate di esservi liberati così facilmente di noi: torneremo e vi picchieremo tutti”. 

E infatti tornarono, tutti erano a terra, bullizzati, erano in piedi soltanto Dicki e Ivan, i quali scapparono ad avvisare il preside; però i bulli li bloccarono prima che raggiungessero il suo ufficio. Il preside arrivò comunque, qualcuno lo aveva chiamato, ma era troppo tardi. Dicki e Ivan erano finiti in ospedale, i bulli avevano rotto il braccio di Dicki e la gamba di Ivan. E così i due amici decisero di non andare più a scuola finché la situazione non fosse cambiata e loro potessero stare bene.    

Letizia Montrone – 1^C

Le scarpe di Anar

Andrea era un bambino coraggioso, determinato, molto gentile e sensibile. Viveva con la sua famiglia composta da mamma, papà e il fratello maggiore Giacomo. Andrea aveva una grande passione: la pallacanestro. Era veramente innamorato di quello sport e guardava tutte le partite alla tv. Avrebbe tanto voluto iscriversi ad un corso o ad una gara dove avrebbe potuto divertirsi, ma non se la sentiva perché era molto basso. 

Lui però continuava ad esercitarsi credendo nel suo sogno.

A scuola c’era un ragazzo, Davide, che quando lo vedeva durante l’intervallo esercitarsi con il pallone, lo prendeva in giro deridendo la sua bassa statura. Questo si ripeteva spesso e anche Andrea cominciava a pensare che forse era inutile perdere tempo per un’impresa che forse non sarebbe riuscito a compiere. 

Suo fratello Giacomo, a cui raccontava tutto, aveva deciso di iscriverlo ad un torneo di basket senza dirglielo, cercando di dargli forza.

Quando aveva deciso di rivelarglielo, Andrea era andato nel panico perché sapeva che alla gara ci sarebbe stato anche Davide, che giocava da quando era piccolissimo.

Quella notte aveva sognato una fata che lo portava in una casetta e che gli diceva: “Ciao Andrea, io sono la fata Anar e voglio darti delle scarpe che ti aiuteranno a migliorare. Prima, però, dovrai superare tre prove: anzitutto, dovrai dire a Davide che andrai al torneo; poi dovrai procurarti la tuta da pallacanestro di tuo fratello e, infine, dovrai credere che ce la farai e che sei bravo. Dopodiché troverai le tue scarpe sotto il letto”.

La mattina dopo Andrea era andato subito da Davide e gli aveva raccontato che sarebbe andato alla gara e questo ovviamente lo derise, ma a lui non importava.

Poi era entrato in camera di suo fratello a cercare la sua preziosissima tuta. Infine, riflettendo su ciò che era riuscito a fare, cominciò a pensare che avrebbe veramente potuto vincere.

Era andato a vedere sotto il letto, aveva trovato le scarpe e le aveva indossate: si sentì subito altissimo e pronto per la gara.

Si trovava in quella grande palestra ma non aveva paura, era determinato e sapeva che ce l’avrebbe fatta. 

La gara andava avanti e Andrea giocava come aveva sempre giocato, quindi molto bene. Arrivò in finale contro Davide. Dopo molti canestri, erano giunti a parità e c’era da segnare il punto decisivo. Mancavano tre secondi e … Andrea segnò il punto finale e vinse la gara.

Tornato a casa, Andrea raccontò del sogno a Giacomo il quale, guardando le scarpe del fratello, si accorse che avevano solamente la suola poco più alta delle altre. Quei centimetri in più gli erano serviti per dargli autostima, come voleva la fata. 

Chi crede in se stesso realizza i suoi sogni.  

Nicolò Ferrari – 1^A

Le tre prove

Nella lontana India, il 20 gennaio del Duemila, nacque in una famiglia povera Siki Jaduey.

Siki poteva solo andare a scuola perché suo padre non aveva un lavoro.

Un giorno, un mercante molto ricco cercava qualcuno che lo aiutasse a commerciare e il padre di Siki accettò volentieri. 

Quando Siki ebbe dieci anni, suo padre si era stancato del suo capo perché non lo pagava più. Allora cercò lavoro in Europa e a Londra, nel Regno Unito, un proprietario di un centro commerciale accettò la sua richiesta. Così Siki e la sua famiglia partirono per Londra.

Lì Siki continuò la scuola, ma qualcosa che non si aspettava accadde: molti ragazzi lo prendevano in giro per il suo nome e perché non era di statura alta, inoltre credevano che non sapesse fare niente. 

Questo accadde fino ai diciotto anni, quando, dalla Repubblica francese, vennero proclamate tre prove che si sarebbero tenute in tre capitali europee: Parigi, Londra e Roma. In palio, un anello magico che rendeva invisibile chiunque lo indossasse.

Siki decise di partecipare, quindi prese, senza dirlo alla famiglia, un aereo per Parigi.

La prima prova venne annunciata dalla Repubblica francese e consisteva nel superare un labirinto di foglie. Così Siki disse: “Semplice, è solo un labirinto”. La sfida cominciò e Siki, ragionando e ragionando, trovò la strada e la fine del complicato percorso.

A Londra, Siki incontrò suo padre che gli disse: “Figlio, dove eri andato?”. Lui rispose: “A Parigi, per una gara”.

La seconda era una prova a tempo nel costruire un go-kart e Siki, pensando e pensando, riuscì a finirlo. 

A Roma, nel Colosseo, si doveva combattere contro un drago sputa fuoco e, scegliendo bene le armi, Siki riuscì a sconfiggerlo e ricevette il premio. 

Così andò dai suoi compagni e fece vedere loro cosa sapeva fare e quelli si scusarono.

Siki tornò da suo padre e gli disse: “Ti voglio regalare questo anello perché mi sei stato sempre vicino”. Lui rispose: “Sono orgoglioso di te, figliolo, e sento che questo anello lo devi tenere tu”.

“Grazie, padre!” continuò lui. Così Siki e suo padre vissero felici e contenti.

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Il sito dell’Istituto Comprensivo di Langhirano: www.iclanghirano.edu.it.

Per ulteriori informazioni, potete contattare l’insegnante referente del progetto al seguente indirizzo e-mail: ire.sandei@gmail.com.