di Maria Greco, responsabile settore scuola Centro per il libro e la lettura
“Noi siamo quello che ricordiamo, il racconto è ricordo, il ricordo è vivere”. Così affermava il grande Mario Luzi: ricordare è vivere, ricordare infatti significa, etimologicamente, “riportare al cuore” . Il Centro per il libro e la lettura, in occasione del 10 febbraio, intende ricordare l’esodo degli italiani dalle terre di Fiume, Istria e Dalmazia dopo il 1945, nonché le vittime dei cosiddetti “infoibamenti”, attraverso spunti di riflessione, bibliografie e risorse didattiche per insegnanti e alunni.
Negli ultimi anni l’insegnamento delle “questioni storiche sensibili”, ovvero di quegli argomenti storici più controversi e capaci di provocare un forte coinvolgimento emotivo, in quanto legati a conflitti di natura politica, religiosa, sociale, etnica o culturale, si è fatto sempre più intenso. Uno degli argomenti che, almeno potenzialmente, rientra nelle questioni “sensibili” è sicuramente quello delle foibe, soprattutto dopo che il Parlamento italiano ha riconosciuto, con la legge n. 92 /2004, il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo. Il fine è quello di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata dopo il secondo conflitto mondiale e più in generale alle vicende del confine orientale italiano.
Dopo l’istituzione del giorno del ricordo, le scuole di ogni ordine e grado dovrebbero prevedere iniziative per diffondere presso i giovani la conoscenza di questi tragici eventi; oggi, dopo decenni di silenzio, quasi tutti i libri di testo trattano questo argomento. Non mi dilungherò sul modo in cui i manuali espongono la questione delle foibe, perché il racconto storico varia col passare del tempo, sia per il mutare di nuovi interessi e approcci storiografici, sia per il mutare del quadro politico; è, però, utile ricordare le tre fasi della trattazione di questo argomento nei manuali scolastici: una prima fase, durata fino agli anni Novanta del secolo scorso, è caratterizzata da un assoluto silenzio sulla vicenda; una seconda fase, fino al 2004, in cui il tema comincia a diffondersi, ma è trattato in modo assai schematico o poco equilibrato; una terza fase, dal 2004 a oggi, in cui finalmente il tema delle foibe diventa onnipresente ed è trattato con una certa ampiezza e con maggiore equilibrio. L’intento di questo articolo, come il precedente sulla didattica della Shoah, è quello di fornire spunti di riflessione, nonché input didattici a docenti e alunni.
La questione delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata non può essere affrontata in modo efficace dal punto di vista geo-storico, se non viene opportunamente inquadrata nella vicenda molto più lunga e complessa dei conflitti a sfondo etnico, politico e sociale che si sono sviluppati lungo il confine orientale italiano nell’arco di parecchi decenni. E non può essere compresa pienamente se l’excursus storico si limita ai secoli XIX e XX. Ritengo utile, per questo, suggerire percorsi didattici che inquadrino le vicende di questi popoli a partire dall’epoca romana, per poi mettere a fuoco le vicende nei secoli a seguire: fu Giulio Cesare a fondare le colonie di Pola (Pietas Julia) e Parenzo (Julia Parentium) e fu Ottaviano Augusto, con la sua riforma regionale, ad ampliare i confini e a formare il confine orientale della X Regio romana, la Venetia et Histria, la cui capitale era Aquileia. Un’iscrizione d’epoca augustea reperita nei pressi di Fiume dice Haec est Italia Diis sacra, “Questa è l’Italia sacra agli Dei”. La storia dell’Istria e della Dalmazia è una storia che parla di Roma, ma anche di Venezia. Dall’Ottocento iniziò l’espansione veneziana, prima contrastata anche dai feudi germanici e dal patriarcato di Aquileia; poi Venezia si affermò in tutta la costa adriatica: nel 1150 il Doge assumeva il titolo di Totius Istriae inclitus dominator. Il leone alato di San Marco, simbolo della Serenissima, da allora si troverà ovunque. Da questo momento, e fino alla fine del XVIII secolo, la storia dell’Istria si identificò con quella di Venezia. Ecco per quale motivo la regione fu poi definita Venezia Giulia dal glottologo Graziadio Ascoli. Il dominio di Venezia ebbe fine nel 1797, con il trattato di Campoformio. La regione passò nelle mani dell’Austria che regnò fino al 1918. La vittoria della Prima guerra mondiale, cui parteciparono da volontari migliaia di istriani e dalmati, portò a far parte del Regno d’Italia non solo Trento e Trieste, ma tutta la Venezia Giulia e dunque l’Istria con Pola, la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa. Fiume, come sappiamo, fu annessa nel 1924, con il Trattato di Roma, dopo essere stata teatro dell’impresa dannunziana del 12 settembre 1919. D’Annunzio, il poeta-vate, era divenuto l’idolo della gioventù e contribuì a creare un clima nazionalistico che fu foriero degli eventi successivi in Italia. A livello internazionale, ad ogni modo, le soluzioni dei diversi trattati di pace si dimostrarono poco rispettose nei confronti delle varie identità nazionali, alimentando le cause che spinsero le potenze mondiali a scontrarsi in un nuovo e devastante conflitto mondiale. L’Italia, alleatasi con la Germania, tra il 1941 e 1943 invase la Jugoslavia. Il sogno italico della Venezia Giulia durò poco più di vent’anni. Il diktat di pace del 10 febbraio 1947, imposto al termine del secondo conflitto mondiale dalle potenze vincitrici, strappò l’Istria, Fiume e Zara e le isole all’Italia, consegnandole alla Jugoslavia di Tito.
In particolare, discutere, sottoporre a verifica, modificare, contraddire, arricchire ciò che accade tra la prima e la seconda guerra mondiale, sottoporre agli studenti delle scuole secondarie la storia come problema potrebbe servire a stimolare le loro capacità critiche e argomentative, che vanno oltre la mera trasmissione dei contenuti. Reputo fondamentale, per chi voglia soffermarsi in particolare su questo lasso di tempo, trattare questi otto punti: il patto di Londra del 1915, i trattati di Rapallo e di Roma (1920 e 1924), la politica di italianizzazione forzata delle popolazioni slave attuata dal regime fascista dal 1922 in poi, l’occupazione italiana della Slovenia meridionale e di buona parte della costa dalmata nel periodo 1941-43, la prima ondata di violenze perpetrate dai partigiani jugoslavi in Istria nel settembre-ottobre del 1943, l’occupazione tedesca (ottobre 1943- aprile 1945); la seconda ondata di violenze perpetrate contro gli italiani nel maggio-giugno del 1945, l’esodo degli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia (anni 1947 e seguenti). Per comprendere storicamente il fatto “foibe” occorre contestualizzarlo: questo processo cognitivo “verticale” appena descritto, inserisce la strage in una “linea del tempo”, che serve a ricostruire una catena complessa di relazioni ed aiuta a mettere in prospettiva questa tragedia. Un secondo modo per contestualizzare un fatto è “orizzontale”: occorre disporre le foibe sul tavolo dei fenomeni simili, quelli che caratterizzano l’immediato dopoguerra con gli eccidi di massa, le vendette, le espulsioni, a danno sia dei nazisti e dei fascisti, ma soprattutto delle popolazioni civili. A causa di questo processo drammatico, oltre dieci milioni furono cacciati dalle loro terre: tedeschi dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, ungheresi e rumeni dalla Jugoslavia, italiani dall’Istria; si contarono oltre due milioni di vittime. La contestualizzazione è fondamentale sia per capire il fatto delle foibe, sia per discuterne in classe, attraverso la metodologia del debate, per esempio, per gli alunni della secondaria, così da consolidare o potenziare anche le cosiddette life skills. Questa metodologia, come strumento, può insegnare le regole della discussione storica: una o più tesi da sostenere, degli argomenti e dei documenti come prove da citare nelle proprie argomentazioni, il professore che svolge il ruolo di regolatore della controversia. Al termine non è importante chi vince o perde, quanto ritornare sulla discussione stessa per valutarne la regolarità e per osservare la differenza tra questa e il talk show, in cui non vale nessun principio di auctoritas, mentre il dibattito storico ruota intorno al riconoscimento scientifico dello storico
In questo modo si evitano gli equivoci del dibattito pubblico, che tende a inserire nella stessa categoria di “massacro” eccidi storicamente diversi, quali quelli perpetrati dal nazismo durante la guerra e quelli a danno delle popolazioni sconfitte dopo la guerra. Gli insegnanti, nella trattazione di questo argomento “sensibile”, dovrebbero avere l’accortezza di guidare i ragazzi a separare il piano giuridico e politico da quello storico: non si parla di colpevoli, ma di cause, individuandone le responsabilità. Inoltre, questo argomento, come molti altri, richiama con insistenza parole/concetti quali “memoria collettiva”, “identità”, “memoria condivisa”, “etnia” e così via. In questo senso bisognerebbe porre l’attenzione sul concetto di costruzione identitaria che sta dietro la vicenda delle foibe: senza una buona trattazione di questo tema, i ragazzi non avranno, in termini di conoscenze, i prerequisiti necessari per usare questi concetti da un punto di vista “storico”, non stereotipato e rafforzato dal dibattito politico. Bisogna, dunque, tenere le strade separate quanto più possibile, per quanto esse si intreccino: da una parte la strada della rielaborazione politico/sociale, dall’altra quella della ricostruzione storica. Come fare? Sicuramente ponendosi degli obiettivi didattici a lungo termine, pensare all’elaborazione di più unità didattiche oppure alla strutturazione di una UDA che declini trasversalmente un tema. E soprattutto spiegare attraverso le immagini e i gesti simbolici, ricordando per esempio l’incontro che nel 2010 ci fu a Trieste, fra i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia. Giorgio Napolitano, Danilo Turk e Ivo Josipovic si strinsero le mani e le alzarono poi in alto tutti insieme davanti ai fotografi. Prima di assistere al concerto di Muti, “Le vie dell’amicizia”, i tre presidenti, in segno di riconciliazione, fecero visita alla sede del Narodni dom, la Casa del popolo, incendiata dai fascisti e al Monumento all’esodo, eretto nel 2004 in piazza Libertà, di fronte alla stazione ferroviaria, “in ricordo dei 350.000 esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia”.
La memoria storica è necessaria, è giusta, è doverosa nei confronti di tutti gli italiani “inghiottiti” nelle foibe: abbiamo il dovere, in quanto educatori e insegnanti, di conoscere e di trasmettere affinché ciò che è stato non sia più.
7 ottobre 1954, Albaro Vescovà, il Grande esodo
(Archivio fotografico Irsrec FVG)
Di seguito alcune “idee didattiche” suddivise per materie e per ordini e gradi di scuola, realizzate in collaborazione con la professoressa Mirella Tribioli, esperta e studiosa degli argomenti trattati.
Scuola Primaria: rispettando un lavoro “leggero” e non traumatico, adatto a delle menti in formazione, si potrebbero proporre facili letture di proverbi, poesie in dialetto, fiabe, tradizioni usi e costumi riguardo le feste più sentite: Natale, Pasqua, Carnevale. Si potrà far cogliere il substrato della cultura istriana, fiumana e dalmata legata a tradizioni latine e venete, precedente la Seconda guerra mondiale, nel paragone della situazione attuale. Qualche lettura in classe ad alta voce, qualche dettato, qualche ricerca potrà essere facilmente presentata e commentata in funzione della legge, senza per questo dover entrare in dettagli atroci.
Scuola Secondaria di Primo Grado: si potrebbe insistere sulla storia culturale partendo dai miti greci, come il vello d’oro che ha l’ambientazione dell’uccisione di Absirto nelle isole absirtidi del Carnaro. Sarà, poi, l’imperatore Diocleziano ad immergere i nostri alunni nella fascinosa realtà della Dalmazia. Con la storia medievale, nella classe seconda, il riferimento alle Crociate darà ancora l’opportunità di indagare riguardo queste genti e particolarmente sarà nella IV, per il traumatico assedio a Zara del 1202. A seguire, la battaglia di Lepanto, nodo strategico dei rapporti tra le sponde adriatiche, individuerà la partecipazione di innumerevoli equipaggi dalmati e istriani nelle galee veneziane.
Scuola Secondaria di Secondo Grado: si potranno investigare elementi più mirati e potranno essere letti gli autori di confine come Svevo, Slataper, Saba, Santarcangeli, Gianni Stuparich, Tomizza, Marisa Madieri, ma anche i più antichi Tommaseo e Foscolo legati a questa storia. E dello stesso d’Annunzio potrebbe essere indagata l’impresa fiumana, con più attenzione ai motivi e agli eventi pregressi. Non dimentichiamo che il classicismo-romanticismo di Foscolo può essere molto meglio spiegato agli studenti con la conoscenza del fatto che l’isola di Zante era territorio veneto all’epoca e che Foscolo trascorse gli anni della formazione a Spalato, abitando all’interno del palazzo di Diocleziano e percorrendo giornalmente le vie lastricate di pietre romane per andare a scuola.
Un professore di latino potrebbe, per esempio, proporre una lettura di Cesare e della sua guerra civile contro Pompeo, nei suoi esiti importanti di battaglie nell’Adriatico e in Dalmazia, anche per la presenza delle donne dalmate di Salona.
Il professore di greco con Apollonio Rodio e le sue Argonautiche potrebbe soffermarsi su quegli episodi ambientati nelle isole quarnerine.
L’insegnante di geografia, a sua volta, proporre più attenzione alla geografia della regione e quello di scienze chiarire il fenomeno del carsismo portando i ragazzi a riflettere sulle foibe.
Tutto questo per dire che i vari insegnanti all’inizio dell’anno potrebbero tracciare un progetto anche in comune, e ben costruito per la ricaduta didattica, perché in ogni anno scolastico, per ogni materia, si potrebbe trovare lo spunto da inserire per fare ben interiorizzare ai ragazzi la questione del confine orientale. Una classe che nel tempo scolastico avesse sentito continuamente accennato questo tema sarebbe incuriosita ad approfondirlo, quanto invece una disabituata, al cospetto del fatidico “Giorno del Ricordo”, potrebbe rimanerne talmente estranea, da arrivare a ridurre il tutto a semplificazione, se non addirittura a stereotipo.
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