di Monica Monachesi

Vi proponiamo un estratto dell’articolo pubblicato sul blog della casa editrice Topipittori, e vi rimandiamo al link per completare la lettura. Monica Monachesi approfondisce il lavoro di Francisca Yáñez sulle storie di rifugiati, di viaggio e migrazioni (attraverso diversi linguaggi ed esperienze: libri illustrati, mostre, laboratori e incontri con i ragazzi), con attenzione verso etnie ed età diverse, ma soprattutto verso i bambini.

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Un Paese senza nome, molti Paesi senza nome quelli dei tanti migranti, rifugiati, persone, creature in cammino per attraversare acque, terre, distese interminabili segnate da confini, per rifugiarsi nel mondo, in cerca di protezione e di un’altra possibilità. Da un Paese senza nome è il progetto di Francisca Yañez che da sempre, è impegnata nella testimonianza attiva, attraverso l’illustrazione e l’arte. Una mostra, un racconto d’infanzia in prima persona, un laboratorio che viene fuori da una valigia piena di figure e passaporti, per ascoltare, riflettere, confrontare e infine: esprimere.

Francisca Yáñez è un’illustratrice conosciuta a livello internazionale e per condurre i suoi laboratori d’arte viaggia anche oggi, nelle scuole di diversi Paesi, con una valigia piena di figurine, passaporti e piccoli oggetti. I suoi libri sono sempre rivolti a quella dimensione interiore che al tempo stesso è àncora di salvezza, gemma salvifica nelle più estreme difficoltà. Francisca ha illustrato anche racconti dedicati ai bambini rifugiati (come il bellissimo Otro país, María José Ferrada, Planeta 2016, o Ana (Reimaginando el diario de Ana Frank) Marjorie Agosín, Das Kapital Ediciones 2015.

Del suo lavoro lei stessa afferma: Sento che ogni volta faccio la stessa cosa: racconto storie unendo figurine di carta. In maniera naturale il mio lavoro è andato verso direzioni che mi permettono di rendere visibili le storie di chi non ha un proprio posto nel mondo.

Ho conosciuto questa mostra quando fu esposta a Santiago, in Cile, presso l’Istituto Italiano di Cultura. Ho studiato tutto da qualche foto che non cessavo di osservare: gli sguardi, i gesti, gli abiti, ogni dettaglio di quei personaggi di carta attirava la mia attenzione, come se tutti, solo con la loro presenza, mi imponessero di domandarmi chi fossero, da dove venissero, da chi si separavano o con chi si ricongiungevano. Mi chiedevano di leggere le loro storie e mi sentivo immersa in un silenzio pieno di poesia, che si riempiva di tenerezza, di attenzione a queste vite. Ed erano ‘solo’ figurine di carta.

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