di Francesca Romana Grasso – Edufrog

Questo intervento è stato originariamente pubblicato qui. Lo riproponiamo con il consenso dell’autrice.

Stefano Laffi, in introduzione a Crescere nonostante. Un romanzo di formazione (edizioni dell’asino, 2015), un lavoro corale scritto dai soci della cooperativa di ricerca e intervento CODICI, per raccontare alcuni aspetti centrali dei loro primi dieci anni di attività. scrive:

intorno all’infanzia, all’adolescenza e all’età giovanile è diffuso un pensiero che oscilla dalla sacralizazione al compatimento, dalla demonizzazione alla patologizzazione: oggetto di infinite proiezioni da parte degli adulti, bambini e ragazzi diventano geni e talenti, angeli e eroi, oppure vittime e piccoli criminali, ingrati violenti. Costellata di infiniti palchi e prove di competenze, di una coazione al casting e alle esibizioni, la loro vita è diventata una corsa continua, a mostrare e dimonstrare, senza mai un esordio sociale vero, senza poter incidere mai nel mondo, senza contare nulla fra gli adulti. Eppure crescono, fanno scelte, sperimentano: quali sono allora le esperienze trasformative, i luoghi dove è ancora possibile sentire di diventare grandi? (…) Stare coi bambini e coi ragazzi, osservarli e dialogare (…) ci ha portato verso le ipotesi di un cambiamento.

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Massimo Conte pungola la scuola e il mondo degli adulti:

Una delle cose che rendono più faticoso per i ragazzi il confronto con gli adulti nelle relazioni dichiaratamente asimmetriche come le relazioni formative, educative o terapeutiche, è che qualcuno che ha potere su di loro pensa di avere anche il potere di dire quale sia la loro condizione. Il potere di dire di sè, di vedersi riconosciuta una competenza, di vedere presi sul serio i significati che si attribuiscono alla propria esperienza del mondo, dovrebbe essere il primo passo per una distribuzione meno iniqua dei poteri nella nostra società.

Nell’intreccio di storie raccolte da Andrea Rampini, si impone una domanda – a partire dalla quale mi piacerebbe intavolare un confronto, magari in seno al Circolo di studi sorto intorno al Manifesto di alleanze educative e di cura: come avviare un dialogo aperto sui temi della cittadinanza con chi è più giovane di noi? Come gettare le basi per una nuova alleanza intergenerazionale?

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Rampini ricorda ciò che ogni ex-bambino\a ed ex-ragazzo\a ha saputo, e forse dimenticato: gli adulti che fanno bella figura sono quelli che ti ascoltano nonostante la tua età e che prendono davvero in considerazione quello che pensi; quelli che osservano con attenzione e tacciono quasi sempre, parlando soltanto quando hanno da dire qualcosa di davvero importante; quelli che senza farlo notare hanno sempre uno sguardo per te e per le tue fragilità; quelli che passano le domeniche con te, in cantina o in mansarda, senza badare ai trent’anni che vi separano; quelli che ti vengono a prendere e ti riportano a casa quando non hai la macchina e devi rientrare presto; quelli che sono pronti a sostenerti anche se vai in una direzione diversa da quella che loro hanno suggerito; quelli che hanno il coraggio di mettersi a imparare da te, rinunciando alle sicurezze e rimettendosi goffamente in una posizione di apprendisti. Sono quelli che  contagiano con gli ideali, con l’esempio, con l’entusiasmo, e ti fanno pensare che anche tra trent’anni potrai vivere con la stessa pienezza con cui vivi ora.

Valentina Bugli ci accompagna tra i giovani di origine straniera che hanno sviluppato quello che all’interno del gruppocodici chiamano il “capitale di approssimazione” mutuando un’espressione del filosofo Cassano, un mix-max di saperi (o skills, per i detrattori della lingua italiana) assimilabili a veri e propri “superpoteri” come bilinguismo, trilinguismo; dialettica e riflessività; abilità nel bilanciare l’energia nei gruppi; capacità di mediazione tra generi e generazioni; spirito di sacrificio; capacità di adattamento; curiosità verso il nuovo e il diverso; rispetto ed empatia per le esperienze altrui.

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Ma le pagine più illuminanti per me sono quelle attraverso cui Oana Marcu mi ha acceso lo sguardo su un’ignoranza, inanellata di stereotipi e pregiudizi nei riguardi dei giovani rom, a cui non sono estranea; sottolinea: è come se per noi, post-moderni, le appartenenze fossero naturalmente fluide, intrecciate e frutto di un’adesione volontaria, mentre per loro qualsiasi comportamento dovesse essere ricondotto a una cultura pre-moderna, totalizzante.  In particolare (…) si considera che l’adolescenza rom non esista e che i giovani diventino adulti molto prima dei loro coetanei non rom.

Ma anche i rom attraversano l’adolescenza con gesti, sceneggiature e tentativi, al pari degli altri coetanei: certamente i giovani interpretano la loro cultura ogni giorno e la ricreano fin dalle prime ore della mattina, quando si guardano allo specchio e decidono cosa indossare, come essere “fighi” oppure “normali” -come tutti gli altri. Quando si incontrano i loro amici sulla metro cercano di farsi notare ma non come i “diversi” o i “poveracci” ma come brillanti, belli e allegri, fanno battute tra di loro (…). Il loro stile non è molto diverso dallo stila giovanile globale ed è spesso difficile distinguere i ragazzi rom, vestiti alla moda, ben curati, con jeans, occhiali da sole e cappellini firmati, da altri ragazzi italiani o immigrati.

Rincuora poi la testimonianza di  Daniele Brigadoi Cologna che accompagna personalmente i suoi studenti in Cina, per esporli fin dal primo anno a uno “shock culturale controllato”, offrendo loro la possibilità di superare in tempi relativamente rapidi quelle impasse che spesso segnano il primo approccio alla Cina di uno studente italiano.

Come non sottolineare che “personalmente” li accompagna, in gruppi numerosi, per sua libera scelta?

Nel suo contributo Massimo Conte invita gli adulti a contemplare il fatto che il processo di apprendimento viva anche di regressioni, di stanchezze, di momenti di blocco dovrebbe essere naturale.

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Parole piane quelle di Domenico Letterio, quasi banali – e per questo sostanziali e orientanti – stanno a ricordare come la presenza discreta e rispettosa dell’adulto, accompagnata da un sincero interessamento e da curiosità, favorisca l’autodeterminazione di una libertà appresa per gradi, metabolizzata, creativa, espansiva.

Bambini e giovani, al pari di tutte le altre persone, hanno bisogno di luoghi da vivere e buoni incontri. In queste condizioni i progetti di vita fioriscono naturalmente, sulla scia di impulsi interiori che nessun progettificio può eguagliare.

Nutrirsi di polvere di stelle e fantastico, osando quanto, e oltre, ha osato Luigi Serafini attraverso il suo Codex seraphianus –con le cui imagini dialogo in questo post- per fare spazio alla libertà immaginifica di cui tutti abbiamo bisogno, come dell’aria, di uno sguardo interessato e di tempo, per esplorare ciò che si è e ciò che si desidera essere, in una comunità che vede adulti, ragazzi e bambini cooperare per rendere apprezzabile il presente, desiderabile il futuro.

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[Le immagini sono di Luigi Serafini, codex seraphinianus, Rizzoli, 2013]

 

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